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“Germinale” di Emile ZOLA

Oggi vi parlerò di Germinale, scritto da Emile Zola nel 1885.

Ci troviamo durante la prima Rivoluzione Industriale, in particolare nel periodo del “germinale”, ovvero tra il mese di marzo e quello di aprile, quando la natura iniziava a germogliare. Il libro inizia con l’arrivo di Etienne nelle miniere del nord della Francia. Il giovane è alla ricerca di lavoro e, pur desideroso di una vita migliore, gli viene offerta una mansione come operaio in miniera.
Viene accolto, così, dalla famiglia Maheu, minatori da generazioni, e qui conosce Catherine con la quale vivrà una silenziosa e timida storia d’amore. Ben presto però, si accorge che il lavoro nelle miniere prevede turni di lavoro estenuanti, condizioni di vita durissime e paghe che non consentono alle famiglie di sfamarsi.
Inizia così a pensare a uno sciopero, per mostrare alla borghesia che anche i poveri minatori sono portatori di diritti e necessità. Questa ribellione è stata per molti una resistenza estenuante, per altri un lungo periodo di fame e per i più sfortunati la morte.
Dopo l’ennesimo momento di rivolta, represso però dall’arrivo dei gendarmi, molti minatori hanno preso la dura decisione di ritornare in miniera alle precarie condizioni a cui sono stati sempre sottoposti. Lo stesso Etienne, insieme alla sua Catherine, ritorneranno nuovamente nei bassifondi, incontrando con altri il loro destino.

Non voglio però rivelarvi troppo per non guastarvi la lettura!
Leggere Germinale è stato come guardare un film avvincente e struggente. Un libro che mi ha mostrato un pezzo di storia e che è stato capace di risvegliare molte sensazioni. Ho visto davanti a me il nudo e immenso paesaggio della pianura francese, la povertà dei minatori e delle loro famiglie, ma anche la continua lotta dell’essere umano per la sopravvivenza e per avere un futuro migliore.

Consiglio questo volume perché “Germinale” non è solo un romanzo, ma parte della nostra storia e un mezzo attraverso il quale il lettore può riflettere su tematiche molto importanti quali la lotta di classe, la morte, l’accettazione, la sconfitta e la voglia di rinascere.

Stefy

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“L’amore non basta” di Sophie LAMBDA

Tempo fa passai con Marco in libreria “per dare un’occhiata”; invece che guardare e basta, come potrete immaginare, tornai a casa soddisfatta con degli acquisti.

Quando presi questo libro tra le mani mi trovai davanti a una scelta: lasciarlo lì per non rivivere quello che avevo attraversato, oppure leggerlo per ripercorrere con più distacco una parte della mia vita, empatizzando con chi aveva passato la stessa cosa. Vi parlerò quindi di L’amore non basta – Come sono sopravvissuta a un manipolatore: un romanzo grafico scritto e illustrato da Sophie Lambda.

L’autrice racconta quando conobbe Marcus, ragazzo con cui iniziò una storia travolgente, fatta di divertimento, dolcezza, presenza e passione. Ben presto però le cose cambiarono. Marcus iniziò a mostrare aspetti diversi della sua personalità: bugie, sbalzi di umore, crisi di rabbia, sparizioni improvvise, ricomparse e continue delegittimazioni. Sophie cominciò a notare questi aspetti dell’uomo che amava, ma anche a sentirsi stanca, insicura e in colpa per il dubbio di essere lei la causa di questo cambiamento. Ciò la portò allo stremo delle forze e all’apatia, ma un giorno decise di chiedere aiuto e rimettersi in gioco.

Ho trovato questo libro illuminante perché l’autrice è stata capace di raccontare quelli che sono i tratti di una persona narcisista e manipolatrice, ma anche i sentimenti provati da chi ha la sfortuna di vivere una storia d’amore come questa. Lo stile è ironico, ma non fa venire meno l’importanza della tematica trattata.

Ho adorato le illustrazioni perché, oltre a descrivere degli eventi, attraverso esse è possibile percepire la varietà di emozioni che caratterizzano le dinamiche di relazione con un narcisista/manipolatore. Sono immagini pulite, dinamiche ed espressive quelle di Sophie Lambda.

Quando ho comprato questo libro, Marco mi ha confessato che aveva già in mente di regalarmelo, perché lui sa che anche io ho attraversato la stessa esperienza, e quando mi ha conosciuta portavo sulle spalle uno zaino più pesante di me stessa.

Qualche anno fa incontrai un uomo con il quale iniziai una relazione dove tutto sembrava perfetto. Ben presto però mi accorsi che “qualcosa non andava”: era una sensazione nella pancia, a cui però non davo ascolto. Erano troppe le bugie, le sparizioni e le ambiguità. Quando glielo facevo presente mi ripeteva che avevo le allucinazioni, che ero troppo gelosa, che ero pazza, che erano le altre a sedurlo e che non lo capivo.

Mi sentivo stanca, triste e apatica. Continuavo a perdonare le sue malefatte raccontandomi delle storie, ma la cosa peggiore è stata avergli permesso di farmi sentire in colpa. Spesso mi domandavo dove avessi sbagliato, oppure imputavo a me stessa le sue reazioni. Ma a furia di cercare di capire lui, non capivo più me stessa. Non riuscivo a capacitarmi come io, che di lavoro opero con le persone, anche molto patologiche, non riuscissi a uscire da questa situazione. Poi venne il momento in cui decisi di affidarmi a qualcuno ancora più esperto di me, così da riuscire a interrompere qualsiasi legame con quella persona, affrontando la paura del distacco e il duro percorso di risalita. Questo mi ha permesso di riconoscere ciò che sono e accogliere ciò cosa è arrivato dopo: una relazione sana e piena di amore.

Il manipolatore, però, dov’è finito? Interrotta la storia continuò a contattarmi, provando vari tipi di approccio: quello plateale («Ti amo ancora e non so stare senza di te. Torna che ho fatto uno sbaglio»); quello delle scuse («Ho ancora il tuo braccialetto e vorrei ridartelo: ci vediamo per un caffè?»); quello della compassione («In questo periodo sono stato poco bene»; «Sono in un momento difficile della mia vita»; «Sono un buono a nulla e ho sbagliato tutto con te»).

Non sono mai tornata indietro.

La lettura della storia Sophie Lambda è stata, per questi motivi, ancora più consapevole. Mi ha fatto rivivere un periodo difficile della mia vita e provare la gioia di esserne uscita ancora più forte. Consiglio, quindi, il libro a tutti coloro che vogliono conoscere la figura del manipolatore e il fenomeno della dipendenza affettiva. Mi rivolgo, in particolare, a chi sta attraversando queste dinamiche: non dovete permettere a nessuno di farvi sentire in difetto e quando inizia a farlo, spesso, è evidente che non vi ama. Non abbiate timore di chiedere aiuto, specialmente a un professionista. Non abbiate la paura di rimanere da soli, perché potete rinascere e ricreare attorno a voi rapporti sani con maggiore consapevolezza.

Stefy.

“La felicità del lupo” di Paolo COGNETTI

La montagna sullo sfondo, o meglio tutt’intorno. Paolo Cognetti torna, dopo Le otto montagne, con la sua voce cristallina, a parlare del desiderio di scappare a – almeno – duemila metri per lasciarsi alle spalle la vita complicata di pianura; quella vita che si attacca addosso e rende difficili anche le anime più semplici.

Come quella di Fausto, scostante scrittore, che si rifugia a fare il cuoco, trovando ordine nell’essenziale vita di montagna, e nella routine di preparare lo stesso menù ogni giorno per i montanari di Fontana Fredda, non esigenti nella varietà, ma nell’uniformità; o come quella di Silvia, che cerca di tessere di nuovo la sua giovane vita sfilacciata alla soglia della maturità facendo la cameriera in alta quota, per provare le brezza di un’esperienza polare senza spostarsi in latitudine, ma in altitudine; oppure come quella di Elisabetta, detta Babette, rivoluzionaria auto-esiliatasi in montagna a gestire un ristorante. Gente di pianura sempre a metà tra il sogno alpino e la realtà cittadina, imitazione non riuscita – o non voluta – di montanari come Santorso, che l’aroma di ginepro ce l’ha nel profondo e non soltanto spruzzata a mo’ di aroma addosso. Tutti diversi, con un’idea diversa di felicità, che riescono a concretizzare solo a metà.

Lo stile semplice – ma non povero – di Cognetti, fa sentire, tra finzione e autobiografia, la vita di montagna: la sensazione di un passo dopo l’altro in silenzio su un sentiero, il romantico sollievo di una vita sobria, spogliata del superfluo da un lato e, dall’altro, la malinconica certezza di non potersene disfare del tutto.

Consiglio di leggere La felicità del lupo, come del resto tutti i libri dall’autore (anche i saggi e le raccolte di racconti), per scoprire tutte le sfaccettature di uno – a mio avviso – tra migliori scrittori italiani del nostro tempo.

Marco

“Queer – Una storia per immagini” di Meg-John BARKER & Jules SCHEELE

Un giorno, Marco e io, siamo andati al mercato locale. Con sorpresa abbiamo trovato un banchetto di libri usati. Spulciando di qua e di là, alla ricerca di qualcosa di interessante, Marco ha trovato questo libro, intitolato Queer – Una storia per immagini, scritto da Meg-John Barker e illustrato da Jules Scheele. Ovviamente, non poteva che venire a casa insieme a noi.

Il libro è un saggio a fumetti, e vede come tema principale lo sviluppo del cosiddetto pensiero “queer”. Questa teoria porta avanti l’idea che non vi sia un’unica identità di genere, così come che essa non sia immutabile, ribaltando il pensiero alla base della nostra cultura. Questo saggio esplora vari aspetti della nostra vita quali il sesso, la sessualità e il genere, visti anche in ottica culturale, biologica e psicologica.

Le teorie vengono esemplificate attraverso l’uso di illustrazioni, le quali danno vita a un libro dinamico e moderno. Grazie a esse si riesce a capire con ironia, in modo semplice e immediato anche gli argomenti più complessi trattati nel testo.

Ho letto questo saggio con piacere, perché mi ha dato modo di approfondire un tema su cui da un po’ di tempo sto svolgendo delle ricerche: quello dell’identità di genere. Da sempre amante delle differenze e della libertà, consiglio questo libro a tutti coloro che desiderano aprire la propria mente e imparare ad accettare la bellezza della diversità.

Stefy

“Rose scarlatte” di Laura MANCINI

Oggi vi parliamo di un libro che abbiamo letto in questo periodo: Rose scarlatte di Laura Mancini.

Il romanzo ha come protagonisti Dafne e Andrea, attori di una compagnia teatrale. Dal loro primo incontro si susseguono una serie di vicende che coinvolgono il lettore in un’atmosfera fatta di sentimenti, attrazione, giochi di sguardi e mezze verità.

La storia è narrata da Dafne, una giovane ragazza poco più che ventenne, curiosa e dinamica, ma anche acerba dal punto di vista sentimentale.

Quando incontra Andrea, la sua vita viene completamente stravolta e si ritrova in balia di una forte attrazione, che la rapisce totalmente, catapultandola in un sogno a occhi aperti, fino al momento in cui avverte un cambiamento: la presenza di qualcosa di nascosto e segreto tra loro.

Il libro, appartenente al genere rosa, si legge d’un fiato e incuriosisce il lettore circa il destino della vicenda. La storia, infatti, romantica e apparentemente leggera, nasconde una tematica importante: lo sviluppo delle relazionali disfunzionali. Il lettore viene coinvolto nella nascita e nell’evolversi di un legame, dagli aspetti più positivi a quelli più critici.

All’inizio, quando la gentile autrice ci ha scritto abbiamo nutrito qualche dubbio sulla lettura del libro, perché appartenente a un genere da noi poco conosciuto e frequentato, forse, dato un po’ per “scontato”. Leggendo Rose scarlatte abbiamo apprezzato la lettura scorrevole e capace di coinvolgerci nell’avventura romantica dei protagonisti e, come condiviso con l’autrice, entrambi abbiamo riscontrato la curiosità di conoscerli più a fondo, specialmente dal punto di vista psicologico. In alcuni casi, avremmo voluto entrare nella storia per osservarli o parlare con loro e capire meglio i loro punti di vista.

Se Dafne risulta un libro aperto, Andrea rimane quasi un mistero. Poco si sa veramente di lui e, come lettori, siamo rimasti con il piacevole diletto di ricostruire con la fantasia il non detto su questo personaggio.

Possiamo dire, infine, che questo libro è la riprova che, a volte, anche le storie all’apparenza più semplici, possono nascondere al loro interno alcuni spunti di riflessione.

Stefy & Marco

“Opinioni di un clown” di Heinrich BÖLL

Ho sempre nutrito sentimenti contrastanti verso la figura del clown: se da una parte, dall’età di nove anni nutro una passione verso It, il celebre clown nato dalla penna di Stephen King, dall’altra, invece, ho sempre provato una certa malinconia di fronte al clown come figura artistica. Non è facile da spiegare ma, appena ne vedo uno, specialmente per strada o all’interno di uno spettacolo, mi ritrovo a domandarmi chi si celi dietro la mole di trucco o cosa vuole trasmettere con la sua performance. Insomma, i clown mi hanno sempre suscitato un insieme di emozioni: un misto tra paura, malinconia e curiosità.

Quando ho visto questo libro, sono stata catturata da quello che prometteva di essere il protagonista, ovvero proprio un clown, e subito ho provato il desiderio di immergermi nella storia. Opinioni di un clown scritto da Heinrich Böll ha come protagonista Hans, un artista di strada che vive nella città di Bonn. Il giovane è tormentato dall’abbandono della fidanzata Maria e, dopo l’ultimo spettacolo senza successo, subisce un crollo emotivo che lo porta a rimuginare sulla sua vita. Maria è una cattolica praticante e la relazione di Hans non è vista di buon occhio da parte dei gruppi politici filocattolici della città, all’epoca molto presenti e influenti, tanto da portare la giovane a lasciare il fidanzato e a legarsi sentimentalmente a un membro del partito.

Il libro è una critica alla borghesia tedesca del periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. Un momento storico in cui nella società dominava l’apparenza e l’ipocrisia, e dove tutto era veicolato da interessi. La particolarità del romanzo è che si svolge in un arco temporale molto breve, anche se il lettore ha la percezione di restare insieme al protagonista per molto tempo. Il personaggio di Hans, infatti, domina completamente la scena trasmettendo sentimenti di incomprensione ed emarginazione. In un periodo di grande malinconia, ricorda il suo passato, facendolo conoscere al lettore con spontaneità e sincerità, nel bene e nel male. Inoltre, critica in modo diretto lo Stato, la società, ma anche la sua famiglia con un occhio oggettivo e distaccato. Inizia così una serie di telefonate a famigliari e conoscenti, dove ogni verità viene esternata e portata all’eccesso, talvolta con critiche molto pesanti.

Se da una parte sono stata colpita dalla profonda tristezza di Hans, dall’altra avrei voluto entrare sulla scena per scuoterlo e sollecitarlo a dimenticare Maria, in modo da riprendere in mano la sua vita. Tuttavia, nella maggior parte del tempo sono rimasta un osservatore esterno alla scena. Inoltre, al di là della figura di Hans, non ho sentito particolare empatia verso gli altri personaggi, perché ho avuto la sensazione che orbitassero intorno alle vicende del protagonista, senza avere una loro profondità.

Ho apprezzato questo libro, in primo luogo per la bellezza dei dialoghi, così ricchi di emozioni, anche di quelle considerate negative e dalle quali spesso rifugiammo, perché “non sta bene farle vedere in pubblico”. In secondo luogo, mi è piaciuto molto lo stile usato da Böll capace di delineare personaggi che sembrano camminare su un filo sospeso nel vuoto. Lo stesso vale per Hans, continuamente teso verso il baratro e verso il buio, che però ha qualche guizzo di forza e la voglia di non desistere. Ho apprezzato anche la spregiudicatezza delle critiche, che rendono il testo un atto alternativo di e di coraggio per l’epoca in cui è stato scritto. Non posso che consigliare il libro a tutti coloro che vogliono cimentarsi in una lettura diversa, curiosa e molto particolare.

Stefy

“Il Serenissimo” di Biagio IACOVELLI

Oggi vogliamo parlarvi di un libro che l’autore ci ha gentilmente inviato: Il Serenissimo – Ovvero l’inatteso fascino della mediocrità di Biagio Iacovelli, edito da Rogas Edizioni.

Iniziando a leggere questo libro ci si imbatte in un giornalista che ci racconta in prima persona il suo tentativo di ricostruire la verità intorno alla figura, per certi versi misteriosa, del capo di Stato della Litaija: Serge Mathievz, meglio conosciuto come “il Serenissimo”.

Il giornalista-narratore ci prende per mano, e per mezzo di diverse interviste, ci conduce alla scoperta della vita, ma soprattutto dell’ascesa al potere, di Serge Mathievz, uomo privo di ogni qualità, se non quella di sfruttare i punti deboli degli altri. Si scopre attraverso l’inchiesta che “il Serenissimo” ha consolidato, negli anni, il regime – quello della Mediocrazia – nel quale tutti non si preoccupano di distinguersi e navigano in quella bolla di sicurezza che è la loro mediocrità. Il Sistema prevede anche una resistenza intellettualoide – le PIPPE – che contrasta il sistema a parole, letture e litigi sui social network, ma che di fatto, così facendo, non fa altro che rafforzarlo.

Nel corso del viaggio dell’Autore – così si auto-definisce il narratore, insieme ad altri appellativi come “amatissimo” e “affezionatissimo” – troviamo diversi personaggi bislacchi e grotteschi. I primi che incontriamo sono i vicini di casa d’infanzia di Serge Mathievz: Ann Cascè e il marito Anton, che hanno opinioni diverse sul “Serenissimo”. Troviamo poi Wilhelm Tonek, il migliore amico di Serge ai tempi della prima adolescenza, che in realtà “parla” all’Autore solo attraverso le righe di un diario consegnato dal padre al giornalista. In seguito, e con non poche difficoltà, l’Autore riesce a dialogare con Polly Evelyne, capo della resistenza al regime, leader delle cosiddette PIPPE, figura ambigua ed emblematica. Ancora, troviamo le interviste a due personalità fondamentali nella vita di Serge: quella al mentore ai tempi degli studi universitari, il prof. Zvehrev, e quella al commendator DePhilipp che ha fornito le risorse al “Serenissimo” per acquisire notorietà. L’altra figura che ci fa incontrare l’Autore è suor Metellona, che consegna allo stesso la corrispondenza, intrisa di rivelazioni, di Serge con Irene Halep, donna con cui ha avuto una relazione e che lo ha quasi sottratto dalla sete di potere; rivelazioni completate da quelle del fratello di Irene, Faustus Halep, segretario del Partito Mediocratico, che ha contribuito all’ascesa al potere del “Serenissimo”. Infine, l’Autore incontrerà P.T. Ditou, capo della propaganda e braccio destro di Mathievz, che lo costringerà a un destino che aveva già previsto fin dalla sua nascita.

Il romanzo coinvolge il lettore al punto da farsi leggere tutto d’un fiato. Capitolo dopo capitolo scopriamo le sfaccettature del “Serenissimo” attraverso la testimonianza degli altri personaggi, i quali si esprimono con termini che stanno a metà tra quelli dei nostri dialetti regionali e quelli delle lingue straniere. Questi personaggi richiamano degli stereotipi della nostra società, facendoci riflettere su di essa e su noi stessi, portando a galla temi importanti, attraverso un umorismo ricercato.

Il romanzo è arricchito dalle illustrazioni emblematiche di Eleonora Iacovelli, che rendono ancor di più vividi agli occhi del lettore l’ambientazione e i personaggi.

Abbiamo apprezzato molto questo libro, perché attraverso personaggi stravaganti e un’ambientazione immaginaria, osiamo dire quasi distopica, ci porta per mano a vedere con altri occhi il nostro mondo, nel quale spesso mettiamo la testa sotto la sabbia per non vedere il marcio, rinchiusi nella nostra sfera di abitudini quotidiane. Ci siamo immaginati questo testo rappresentato a teatro, perché sarebbe interessante vedere i personaggi prendere vita non solo su carta, chissà se mai verrà portato in scena. Noi ce lo auguriamo.

Questo è il secondo libro dell’autore che abbiamo avuto l’opportunità di leggere; ci teniamo a ringraziarlo per la gentilezza e disponibilità. Gli facciamo un grande in bocca al lupo perché questo libro abbia il riconoscimento che merita.

Stefy & Marco

“Fútbol – Storie di calcio” di Osvaldo SORIANO

Sono stato un appassionato di calcio; ora sono solo un nostalgico alla ricerca di un mondo che non c’è più. In realtà, mi sono innamorato di questo sport negli anni ’90, quando già stava iniziando la sua fase decadente. Progressivamente me ne sto ancora allontanando, ma senza staccarmi del tutto, perché il mio interesse è vivo quanto basta per giocare al fantacalcio con gli amici.

Vi racconto questo perché, recentemente, ho letto un libro sul calcio che mi ha fatto ritrovare quel romanticismo che ormai ha abbandonato questo sport: Fútbol – Storie di calcio dell’autore argentino Osvaldo Soriano.

Osvaldo Soriano è stato un promettente attaccante, o centravanti per usare un termine più all’antica, fino a quando un infortunio non gli ha stroncato la carriera. In seguito ha intrapreso la carriera di cronista sportivo prima, e quella di scrittore poi, diventando uno dei romanzieri più amati dell’America meridionale.

Attraverso i racconti che compongono Fútbol – Storie di calcio lo scrittore argentino si diverte a raccontare fatti reali e inventati. Troviamo, infatti, vicende realmente accadute, come la finale del Campionato mondiale di calcio del 1950 – il cosiddetto Maracanazo −, vinta dall’Uruguay grazie al colpo di genio del capitano Obdulio Varela, che al gol del vantaggio della nazionale brasiliana, rallenta la ripresa gioco facendo raffreddare l’entusiasmo degli avversari. La partita finirà 1-2 per la sua squadra, mandando in lutto una nazione che si sentiva la vittoria in tasca. Obdulio, dopo la partita, invece di sentirsi al settimo cielo, rimane invece dispiaciuto per aver provocato tanta tristezza (si conteranno anche diversi suicidi tra la popolazione brasiliana dopo la partita). Tra le storie di fantasia scopriamo quella del Mister Peregrino Fernandez, che in una casa di riposo in Francia, non si sa se in preda a una demenza senile galoppante, racconta le sue invenzioni spettacolari come il “libero gentile” e “il centravanti elettronico”, e le sue memorie calcistiche vissute intorno al mondo. Quello che si sa è che lo rattrista aver contribuito alla scomparsa della figura degli attaccanti statici, essendo stato uno dei primi a sperimentare il “calcio totale”, quando tutti imitavano il catenaccio di Helenio Herrera. L’autore ci sorprende anche altre storie che stanno a metà tra la realtà e la leggenda, come quella del mondiale dimenticato del 1942 giocatasi, si dice, in Patagonia tra squadre di immigrati europei, una di soldati nazisti, la selezione di uruguaiana, quella brasiliana, e due squadre rappresentanti la popolazione locale: la selezione del Regno di Patagonia e quella dei Mapuches. Non mancano, poi, racconti ambientati in campi polverosi e dimenticati, come quella del Rigore più lungo del mondo, dove si racconta di un rigore durato una settimana nella partita decisiva tra due squadre di provincia.

In Fútbol possiamo assaporare queste storie e molte altre capaci di soddisfare ogni romantico palato appassionato di calcio. Osvaldo Soriano racconta tutte le storie con naturalezza, tanto da non farci capire se ciò che racconta è fantasia o realtà e quanto di autobiografico ci sia in quei racconti, parlando di calcio per parlare tra le righe “dei goal che uno si perde nella vita”.

Un libro che consiglio a tutti gli amanti del calcio e non, scritto da una penna vivace e nostalgica.

Marco

“La donna del mare” di Henrik IBSEN

Oggi vorrei farvi conoscere La donna del mare, una delle opere teatrali più interessanti di Henrik Ibsen, pubblicata nel 1888. Ho conosciuto questo testo qualche anno fa durante un evento organizzato da una libreria locale. Il dramma è ambientato tra i fiordi norvegesi dove Ellida – la protagonista − vive insieme al marito, il dottor Wagnel, e alle due figlie di lui, nate da un precedente matrimonio.

Ellida possiede una connessione molto profonda con il mare, ambiente in cui è nata e cresciuta, e dove in gioventù si legata sentimentalmente a uno straniero. Dopo aver conosciuto il dott. Wangel, però, sceglie di seguirlo, abbandonando il suo luogo natio. Nel corso degli anni, tuttavia, il ricordo dello straniero riaffiora continuamente nella mente di Ellida, generando in lei un tormento interiore. Questo fino a quando, dopo parecchi anni, il suo vecchio amore si ripresenta davanti a lei. Il dottor Wangel, all’inizio, pensa che la moglie sia affetta da una malattia psichica, ma poi scopre la verità e decide di lasciare Ellida libera di scegliere. Una decisione sofferta e appassionata che porterà la protagonista a un profondo supplizio interiore.

L’opera di Ibsen, è suddivisa in cinque atti; è composta da dialoghi dinamici e, a tratti, intensi. Sulla scena non vi sono molti personaggi, il che rende la storia molto comprensibile. I personaggi principali sono Ellida e il dottor Wangel, ma anche lo straniero che, pur non comparendo nei primi atti, è presente nei racconti di Ellida. Gli altri personaggi, invece, rivestono un ruolo secondario, come le figlie del dottor Wangel, il professor Arnholm, Lyngstrand e Ballested. Altri, infine, sono semplici comparse sulla scena: giovani cittadini, turisti e villeggianti.

L’ambientazione in cui si svolgono gli eventi è semplice ed essenziale. L’opera, invece, è molto avvincente, tanto che il lettore si ritrova a leggere l’ultimo atto in un crescendo di tensione narrativa, trasmessa, in particolar modo, dai protagonisti. A poco a poco, infatti, è possibile conoscerli e scoprire sempre più dettagli sulla loro vita. Anche i personaggi minori, tuttavia, rivestono un ruolo importante, perché si percepisce la loro essenza e il loro ruolo nel contesto.

Il mare riveste un valore simbolico importante: rappresenta un desiderio assoluto di libertà. Ellida, “la donna del mare”, sente questa spinta all’autodeterminazione e rifugge dai legami totalizzanti e in grado di annullare la sua individualità. Ellida vuole essere padrona di sé stessa, così come il mare è libero e indomabile.

Ho amato molto l’opera di Ibsen, sia per questo legame tra il personaggio di Ellida e il mare, sia per i conflitti molto attuali trattati dall’opera, come ad esempio processo di cambiamento della giovane Bolette, la quale sceglie una vita diversa da quella già progettata per lei dal padre. I temi trattati, come il desiderio di libertà, di autonomia e la capacità di scelta, non erano affatto comuni all’epoca dell’autore, per questo ho apprezzato molto come Ibsen abbia avuto la capacità di far emergere questi aspetti.

Un legame particolare mi avvicina al mare, così come al teatro, luoghi nei quali, come Ellida, sento davvero di essere totalmente libera.

Qualcuno conosce quest’opera?

Stefy

“Quella cosa intorno al collo” di Chimamanda NGOZI ADICHIE

Avete presente quando, dal parrucchiere, vi mettono quella mantellina troppo stretta e abbottonata sul collo? Oppure, avete mai provato a trattenere il respiro sott’acqua? O ancora, vi capita mai, quando siete agitati, di sentire la mancanza del vostro respiro, proprio lì, a livello della gola? Ecco, immaginate queste sensazioni e provate a ricercarle all’interno di un libro. Ho scelto di leggere Quella cosa intorno al collo di Chimamanda Ngozi Adichie perché il titolo mi ha catturata; è stato capace di trasmettermi quella sensazione di mancanza di libertà.

Il libro è composto da una serie di racconti, che narrano, con intimità e potenza, il parallelismo esistente tra la civiltà Nigeriana e quella Americana. Infatti, da una parte l’autrice fa emergere, attraverso le vite delle protagoniste, le criticità della società nigeriana afflitta da corruzione, conflitti politici, maschilismo e crudeltà, ma anche quanto sono radicate la cultura e la tradizione del Paese. Dall’altro lato, invece, la scrittrice sposta lo sguardo sull’America, vista però con gli occhi di chi vi giunge con la speranza una vita migliore, e di chi vi capita quasi per caso. Dai racconti si capisce quanto l’emigrazione sia, molte volte, quasi idealizzata, perché spesso non porta a un miglioramento delle condizioni di vita. Anzi, tante volte rischia di far perdere la propria cultura e le proprie tradizioni per adattarsi a un Paese così diverso.

I personaggi sono ben sviluppati, tanto da trasmettere i loro sentimenti, paure ed emozioni. In alcuni racconti ho sviluppato una sorta di empatia con il personaggio, al punto di non volerlo abbandonare alla fine della storia, portando con me il dispiacere di non riuscire a sapere come sarà la sua vita futura.

Ho scelto di leggere questo libro perché apprezzo molto l’autrice e sono sempre stata curiosa di conoscere culture differenti dalla mia. E anche questa volta devo dire di aver ricevuto in cambio quel che cercavo. Ho conosciuto nuovi aspetti culturali della società nigeriana, le difficoltà del processo di integrazione e ho avuto esperienza di situazioni così lontane dalla mia quotidianità. Il libro è stato davvero prezioso perché mi ha fatto riflettere sulla sensazione di avere “quella cosa intorno al collo”, cosa che mi ha avvicinata a quelle donne. Un sentimento di solitudine, di mancanza di libertà e, a volte, di non appartenenza. Una percezione che resta lì, proprio nella zona della gola, e che a volte ci toglie il respiro, ma soprattutto ho capito come quella famosa “cosa intorno al collo”, io non la voglio, e chiunque deve essere libero di respirare a pieni polmoni.

Stefy